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il poeta Lino Curci

    Lino Curci nacque a Napoli il primo marzo del 1912, da Giuseppe Curci (1884-1953) e Maria Giannone (1883-1961). 
    
Dopo essersi laureato in giurisprudenza ed in scienze politiche, nel 1937 si trasferì a Roma, dove entrò a far parte del mondo giornalistico come redattore ed inviato speciale del quotidiano politico e letterario d'importanza nazionale "La Tribuna".

Poesia, montagna ripida, a te mi aggrappo
per non cadere, sento nell'abisso
come urlano i venti, la vita.
Che condizione ho scelto,
ho detto sì fin dalla prima azione.
Abbraccio la parete
con le mani invecchiate,
con un'anima rotta.
Ma in te continuo a credere
che basti per salvarmi una parola.

L.C.           
(poesia inedita pubblicata da "La Fiera Letteraria" nel 1976)        

   

      Durante la guerra fu corrispondente presso la flotta, e raccolse le sue esperienze nel bellissimo "L'equipaggio" del 1942 (Ed.Flaccovio, Palermo), a cui presto seguì la sua prima raccolta di versi, "I Canti del Sud"(con prefazione di Silvio D'Amico. Milano 1942).

      Nel 1943, Lino abbandonò il giornalismo militante per dedicarsi completamente alla poesia,  che intendeva e praticava come un sacerdozio, una responsabilità totale, un impegno quotidiano rigoroso. Tuttavia, continuò a collaborare con molti quotidiani e periodici tra i quali Il Mattino, Il Giornale d'Italia, Il Giornale della Domenica, Antologia, Nuova Presenza, Galleria, L'Osservatore politico letterario, Letteratura, La Fiera Letteraria, L'Europa Letteraria.

    Nel 1951, Lino pubblicò una seconda raccolta di versi, "Mi rifarò vivente", nella quale la tensione spirituale della fede religiosa trovò esiti di straordinaria persuasione lirica, indicandolo come uno dei maggiori e più schietti poeti di voce cattolica della nuova generazione.

    
La sua via era difficile ed anche insolita, almeno in Italia, ma Lino l'affrontò con una viva baldanza di accenti, evitando la facile retorica ed assumendo una solennità non priva di virile malinconia: tali doti sono particolarmente evidenti nelle successive raccolte "L'esule e il Regno"(Ed.Cappelli, Bologna 1955) e "Un fuoco nella notte"(Ed.Vallecchi, Firenze 1959).

il poeta Lino Curci

IL COMANDO (da "L'esule e il regno", I° tempo)

        Concedimi, Signore,
che il mio dolore non sia più disordine,
che l'opera si compia: che il mio giorno
non si concluda in tardo pentimento.
E prevalga la mia storia segreta
su ogni avvenimento e condizione,
solo in essa tu parli e si rivela
il tuo comando. Se un comando a ognuno
tu dai, più forte d'ogni vano sogno,
da eseguirsi finchè duri la vita,
agli obbedienti promettesti un tempo
in cui l'anima avrà la sua vendemmia.
Tu consacra e distingui il mio cammino
d'uno fra tanti, fa che non disperda
ciò che mi hai dato e la ricchezza lieviti
dal mio sudore. Nulla mi appartiene
che da te non provenga: alla mia fonte
fa che non resti in debito d'amore.
E fa che non dimentichi quest'ordine,
questa certezza d'esser vivo, e degno
sia di lottare e risalire in te,
fisso al tuo volto invisibile, ardendo
della tua voce chiara e silenziosa.
"Chi manderò, chi andrà per me?". Risposi,
pronto sulla tua via, come risponde
l'allodola al chiarore del suo cielo,
l'onda alla luna, la sorgente al vento;
come la valle modula in collina
la sua bassura. E fa che non cancelli
la tua immagine in me, fa che l'accresca,
e fammi forza verso la mia altura.

L. C.  

  


Dalla premessa di Lino Curci

a "L'esule e il regno":

     Nel novembre del 1941, in un articolo apparso ne "La Tribuna", scrivevo: "Se qualcuno mi dicesse: organizza in un sistema tutti i tuoi pensieri e mostraci che cosa è al centro del sistema, risponderei ormai: la vocazione... La via della vocazione è offerta all'uomo, a questo angelo caduto, a questo re spodestato, per tornare sul trono".

     Nell'agosto del 1954, concludevo la mia relazione al Primo Convegno della giovane poesia italiana del dopoguerra con queste parole: "Non potremo ridare un significato all'esistenza umana se non ricollocandola di fronte a Dio. 

    
Una restaurata 'religio' della persona sarà possibile soltanto nel rinnovato equilibrio di un umanesimo cristiano, che torni ad innestarla nel suo destino trascendente e preveda il libero sviluppo della vocazione dell'uomo, mandato sulla terra a realizzare un divino pensiero, quello e non altro. 

  
Il poeta Lino Curci

     Dio è alla base di questo processo, è la spinta: e l'individuo che si muove da essa vive poi una sua vita originale, legato all'Assoluto da cui proviene e tuttavia libero di una libertà che è divina obbedienza...".

    
Fra questi due termini di tempo si è svolta quella mia lunga vicenda di fedeltà a un sol pensiero, donde ha preso forma il poema "L'esule e il regno". 
     

    
Articoli e prose, apparse in quotidiani o in rassegne come "La Fiera Letteraria", hanno scandito i momenti di quest'unica meditazione, l'ansia di orientare a una divina stabilità il labile sogno della vita e di trovarle una giustificazione profonda... 

L.C.  

 

      Era un poeta nato nel Sud, ma nei suoi versi era filtrato ben poco del dolore meridionale: molto presto, egli aveva cercato altrove ed in profondità le ragioni della sua vocazione, in un Dio rivissuto drammaticamente, manzonianamente.

     Nella sua poesia c'era un'ansiosa responsabilità che, da terrestre, tentava di farsi celeste, in una sua struttura di accese corrispondenze fra l'uomo ed il suo destino cosmico.

     All'epoca delle prime conquiste spaziali, mentre il mondo veniva pervaso da un senso di trionfo e di folle superbia,  nella poesia di Lino si verificò una svolta, un ulteriore approfondimento, da cui scaturirono le bellissime raccolte "Gli operai della terra"(Ed.Rizzoli, Milano 1967) e "Con tutto l'uomo"(Ed.Rizzoli, Milano 1973).

     Esse riportarono ad una misura di intensa religiosità questa conquista, dando voce di speranza nel divino agli esseri umani che nella poesia  finalmente trovano le ragioni profonde del loro posto nel mondo, in una poesia intesa come immenso categorico, come moralità assoluta e come meta di un viaggio senza ritorno.  Anzi, ogni singola poesia di queste raccolte, rappresenta un momento di un unico viaggio.

    Non mancarono numerosi riconoscimenti e premi: fra i più importanti, il Premio Chianciano nel 1950, il Premio Camillo Sbarbaro del 1957, il Premio Etna Taormina del 1968 ed il Premio Sebeto del 1974.  

     

IL DIO POVERO (da "Con tutto l'uomo")

Ecco l'orrenda strada
degli ingorghi natalizi, l'urlo
dei clacson dove si fa più aguzzo
il quotidiano inferno;
e il senso d'ogni nostra redenzione
che si dissolve nella pioggia fredda.

Per l'orgia dei regali l'età dei consumi

divora se stessa, questa ridda
delle larve ombrellifere al negozio
illuminato che le ingoia, e il balzo
del negoziante sulla preda.

Dio,

nato povero su questa terra, ricordi i doni
così ricchi venuti di lontano,
doni di re. La grotta, il viaggio, la stella;
l'ultima povertà sulla paglia e lo strame.

Dio di contraddizione, tra l'oro e l'incenso,

l'asino e il bove,
scoppiami dentro poichè sono giunto
a maledire questi giorni. Scoppia
nella dura testuggine di macchine
imbottigliate sulle strade immobili;
e in noi tutti coinvolti nel sistema
a comprare e a venderci, Dio povero.

Ho perduto l'infanzia e l'amore del domani,

il mio presente è cieco tra passato e futuro.
E ora devi veramente nascere
tra l'asino e il bove, come ogni anno,
una nascita spoglia per un cuore deserto.

Devi nascere con noi nell'umore del tempo.

Dirci che i ricchi doni
a te indirizzati giustamente
erano per un altro, per un re
non conosciuto ancora.
Con te dobbiamo ricominciare,
e tu devi ritornare a crescere
fino a scacciare i mercanti dal tempio.

L. C.   

   

     Lino morì improvvisamente a Roma il 26 dicembre del 1975 e fu trasportato a Napoli, dove l'attendeva il salone della Fondazione Curci in via Nardones, l'istituzione culturale fondata da suo zio Alberto Curci, e di cui Lino all'epoca era presidente.
      Per l'occasione, il salone fu trasformato in camera ardente.
     Di lì, dopo la benedizione religiosa, le sue spoglie mortali raggiunsero l'ultima dimora, la cappella di famiglia nella parte antica del cimitero napoletano di Poggioreale.

SENZA PIU' SCAMPO

Gli alberi silenziosi
aspettando la pioggia mi dissero: pace.
Sulla montagna grigia io non risposi nulla
poichè nulla era il tempo
caduto nel crepuscolo. Non sfondo d'altri sogni
nè ritmo di pensieri. Solo una grande attesa
immobile, qualcuno che stava per parlare
nel silenzio del numero, del bosco allineato,
la presente purezza di un'eterna assemblea
verso l'uomo più esposto nella selva degli uomini
come se tutto fosse registrato
senza più scampo.

L.C.  
(poesia inedita pubblicata da "La Fiera Letteraria" nel 1976)       

 

 

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